Contratti di locazione e franchising: come rinegoziare il canone
Contratti di locazione commerciale e franchising: come rinegoziare il canone ai tempi del Coronavirus
Le misure straordinarie adottate - dal Governo e dalle Regioni - per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 hanno inciso pesantemente sulle attività di impresa, dato che, tra l'altro, è stata imposta la sospensione in tutto il territorio nazionale – sia pure con differenze derivanti dalle singole disposizioni regionali – di molte attività commerciali e industriali e professionali, comprese quelle esercitate in franchising.
Tali misure hanno avuto e stanno avendo un impatto drammatico sugli esercenti delle attività che devono necessariamente rimanere chiuse, seppure temporaneamente. Tenuto conto che la disponibilità dei locali in cui si esercita un’attività in franchising è molto spesso acquisita attraverso la stipula di contratti di locazione, i conduttori degli immobili si sono visti inevitabilmente preclusa la possibilità di svolgere la propria attività d’impresa e, con essa, di trarre i proventi con cui onorare ai propri debiti, tra i quali quelli relativi ai contratti di locazione.
Ma, a ben vedere, il problema in esame si pone e si porrà nel prossimo futuro anche una volta cessato il periodo dell'emergenza sanitaria, dato il probabile forte decremento di redditività che verranno a subìre, sia per effetto delle misure di sicurezza che dovranno adottare (si pensi alle restrizioni delle modalità di fruizione dell’immobile, alle misure di igienizzazione, all’obbligo di dispositivi di protezione etc.), sia per l’inevitabile calo generale dei consumi.
La normativa introdotta dal legislatore a seguito dell’emergenza epidemiologica ha fornito finora alcune soluzioni, parziali e nel complesso insoddisfacenti. Ferma restando la possibilità di usufruire delle misure di ristoro a fondo perduto introdotta dal recente DL n. 137/2020 (cd. Decreto Ristori) e del credito di imposta per i canoni di locazione prorogato fino al mese di dicembre 2020, il legislatore non ha previsto misure di riduzione del canone, se si eccettua la riduzione per soli conduttori di impianti sportivi privati, prevista dal DL n. 34/2020 (cd. Decreto Rilancio).
D’altra parte, la norma di cui all'art. 91 sempre del Decreto c.d. “Cura Italia”, secondo cui “il rispetto delle misure di contenimento [dell’epidemia] è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”, assume un’importanza ridotta nel caso dei contratti di locazione commerciale, in quanto non introduce un esonero automatico del debitore da responsabilità per inadempimento, per effetto del contesto emergenziale in atto, ma si limita a rendere obbligatoria la considerazione, da parte dell’autorità giudiziaria, di tale contesto e delle relative limitazioni all’attività produttiva che ne conseguono, quali criteri di valutazione del comportamento del debitore.
E d’altra parte, la prestazione cui è tenuto il conduttore, ovvero il pagamento del canone, rende improponibile la configurazione di una impossibilità di adempiere; pertanto, la norma non può escludere di per sé la responsabilità del debitore-conduttore il quale ometta il versamento del canone nel periodo emergenziale.
Il codice civile e la l. n. 392/78 sulla locazione commerciale mettono a disposizione dei conduttori una serie di rimedi per ottenere lo scioglimento del contratto, dato che l’evento pandemico rappresenta senz’altro una situazione imprevedibile e di portata tale da alterare l’equilibrio contrattuale. In particolare, è possibile esperire il recesso per gravi motivi ai sensi dell’art. 27 ult. co. L. n. 392/78, oppure proporre una domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta (di ricevimento della prestazione del locatore), ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c., o di eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi dell’art. 1467 c.c.
Ma lo scioglimento del rapporto raramente soddisfa le effettive esigenze dei conduttori, i quali generalmente hanno l’interesse a mantenere in essere il contratto, rivedendone temporaneamente le condizioni – per quanto attiene alla misura del canone e/o alle condizioni di pagamento - in attesa che la fase emergenziale, e il periodo di crisi economico-finanziaria seguente, cessino, sì da riprendere la normale attività evitando la dispersione dell’azienda.
Infine, l’art. 1467 c.c. prevede che, nel caso in cui una parte avanzi una domanda di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, l’altra parte può evitare lo scioglimento del rapporto, offrendosi di ricondurre ad equità la misura del canone. Tuttavia, questa eventualità è rimessa esclusivamente alla iniziativa della parte che subisce l’iniziativa giudiziale; dunque, il conduttore il quale chieda la risoluzione del contratto ex art. 1467 c.c. non ha alcuna certezza che il locatore proponga di conservare il rapporto offrendo una riduzione del canone.
In questo scenario, la soluzione ottimale per i conduttori per ottenere una revisione delle condizioni contrattuali è quella di rinegoziare il contratto. Poiché, tuttavia, la rinegoziazione non può essere lasciata al solo dispiegarsi dell’autonomia privata - dato che locatore e conduttore hanno interessi contrapposti, e che il primo generalmente si trova in una posizione di maggior forza contrattuale – si è delineata l’esistenza di una negoziazione diversa da quella puramente volontaristica, ovvero di tipo obbligatorio.
Si è così affermato che nei contratti di durata – quale appunto la locazione – quando insorgono delle sopravvenienze – cioè degli eventi successivi alla stipula del contratto, che modifichino in misura significativa l'equilibrio iniziale delle obbligazioni delle parti (come certamente è accaduto per l’epidemia) – sorge un dovere di cooperazione delle parti per rinegoziare il contratto, in modo da renderne il contenuto più congruo rispetto agli interessi dei contraenti. Tale dovere si fonda sul principio di buona fede di cui all’art. 1375 c.c., che impone ai contraenti appunto di attivarsi per adeguare il regolamento contrattuale qualora l’originario equilibrio del contratto risulti snaturato da accadimenti successivi, non prevedibili ed estranei alla sfera di controllo delle parti.
Tale soluzione è stata affermata dapprima da alcune pronunce giurisprudenziali, e successivamente dalla Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione dell’8 luglio scorso, la quale, in un intervento molto approfondito e di ampio respiro, ha affermato la vigenza nel nostro ordinamento del principio generale in base al quale, nei contratti di durata, ogni qualvolta si verifichi una sopravvenienza perturbatrice dell’assetto giuridico-economico su cui si è basata la pattuizione negoziale, la parte danneggiata da tale sopravvenienza ha il diritto di rinegoziare il contenuto delle prestazioni, per salvaguardare il rapporto economico sottostante al contratto, nel rispetto della pianificazione originaria delle parti.
Di conseguenza, il locatore, quale contraente avvantaggiato dalla sopravvenienza, ha il dovere, in base al principio di correttezza e buona fede di avviare con il conduttore trattative finalizzate a rinegoziare i termini economici del rapporto di locazione in modo da riequilibrarlo alla luce della situazione pandemica in atto, operando con atteggiamento costruttivo e non ostruzionistico. Qualora ciò non avvenga – e quindi, sintetizzando, il locatore si rifiutasse di avviare le trattative, oppure le conducesse in modo malizioso, senza una seria intenzione di addivenire alla modifica del contratto originario – lo stesso si renderebbe inadempiente nei confronti del conduttore, il quale potrebbe chiedere il risarcimento del danno.
In un’ottica di strategia processuale, i conduttori potrebbero quindi prima chiedere al proprietario una congrua rinegoziazione dell’ammontare dei canoni; successivamente, di fronte al rifiuto di quest’ultimo di avviare una trattativa o al fallimento della stessa dovuto al comportamento in mala fede del proprietario, potrebbero avviare un’azione giudiziale chiedendo al Giudice di rideterminare equamente il canone, previa eventuale autoriduzione dello stesso. Ovvero, alternativamente, autoridursi il canone ed attendere la successiva procedura di sfratto avviata dal proprietario, facendo valere i propri diritti in sede di opposizione.
In ogni caso, anche in un’ottica deflattiva del contenzioso – che si annuncia molto consistente – sarà importante il ruolo delle procedure di mediazione, nell’ambito delle quali spetterà agli avvocati il delicato compito di cercare un equo componimento dei diversi interessi in gioco.
Valerio Pandolfini
Avvocato in Milano
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